Qui sotto il mio pezzo a proposito delle serie horror dell'anni, scritto per il catalogo del Roma Fiction Fest 2014.
L'interno catalogo lo potete scaricare da QUI.
Ultima cosa: oggi sono al Fiction Fest a parlare del nuovo Dragon Age insieme a Adrea Fornasiero.
Appuntamento alle 19 e 15, all'Auditorium Parco della Musica - Sala Studio 3.
L'ORRORE! L'ORRORE!!
di Roberto Recchioni
Per capire la natura della narrativa
orrorifica di matrice statunitense, bisogna risalire alle origini
della nazione. Pensare ai padri pellegrini, ai quaccheri, al
protestantesimo, ai puritani e al calvinismo in genere. Bisogna
immaginare notti senza luna, grandi pianure sferzate dal vento, un
fuoco da campo con vaccari e coloni seduti attorno. E' gente
pragmatica, persone che badano più al “cosa” che al “come”,
che sanno che al mondo c'è il male e il bene e che sono due cose ben
distinte, e che vogliono essere intrattenute da storie emozionanti e
solide.
Ecco, questo è l'orrore USA: una
favoletta morale grondante sangue, raccontata in maniera semplice.
Era così ai tempi dei pionieri ed è così ancora oggi.
Non è un caso che il più popolare
scrittore di horror del ventesimo e ventunesimo secolo (e uno degli
scrittori più popolari di sempre), sia Stephen King, un autore
capace di tenere incollato alle pagine dei suoi romanzi milioni di
lettori senza inventarsi mai nulla di troppo originale, affidandosi
alla suadenza della sua voce e alla semplice potenza primitiva delle
sue storie.
Narrativa semplice, schietta, diretta e
ordinata, a prova di idiota (ma non per questo priva di qualità). E
non è un caso che Stephen King abbia avuto molto da ridire
sull'adattamento cinematografico di Shining a
opera di un autore complesso e stratificato come Stanley Kubrick, ma
abbia sempre collaborato molto volentieri con un solido artigiano
come Frank Darabont.
Come
non è un caso che Frank Darabont sia stato coinvolto come showrunner
(oltre che come produttore, sceneggiatore e regista) della prima
stagione della serie televisiva di maggior successo degli ultimi
anni: The Walking Dead.
E qui facciamo un salto indietro. Venticinque anni fa, la serie televisiva Twin Peaks ha fatto fare un balzo evolutivo al mondo della televisione, iniettandogli dosi massicce di cinema (e di un sacco di altra roba decisamente più strana e difficilmente classificabile). Poi sono arrivati X-Files, NYPD Blue E.R. e infine la la HBO con I Soprano. E le cose sono cambiate per sempre e in maniera definitiva. Il medium televisivo è diventata la nuova frontiera. Della scrittura, sopratutto, ma anche dell'immagine. Le opere si sono fatte sempre più sofisticate, le ambizioni drammatiche e artistiche, sempre più grandi. E il pubblico evoluto ha gridato più volte al capolavoro, premiando e facendo premiare queste serie.
E qui facciamo un salto indietro. Venticinque anni fa, la serie televisiva Twin Peaks ha fatto fare un balzo evolutivo al mondo della televisione, iniettandogli dosi massicce di cinema (e di un sacco di altra roba decisamente più strana e difficilmente classificabile). Poi sono arrivati X-Files, NYPD Blue E.R. e infine la la HBO con I Soprano. E le cose sono cambiate per sempre e in maniera definitiva. Il medium televisivo è diventata la nuova frontiera. Della scrittura, sopratutto, ma anche dell'immagine. Le opere si sono fatte sempre più sofisticate, le ambizioni drammatiche e artistiche, sempre più grandi. E il pubblico evoluto ha gridato più volte al capolavoro, premiando e facendo premiare queste serie.
Ma
il pubblico di massa, quello capace di trasformare una serie di buon
successo in un fenomeno planetario, ha continuato a guardare Lost
serenamente.
E Lost, del linguaggio cinematografico se ne è sempre fregato. Una scrittura basata sull'uso (e l'abuso) dei cliffhanger, un ampio cast di faccioni bellocci ma privi di un reale spessore, una regia che non si è mai schiodata dall'ABC del campo e del controcampo in piano medio, una narrazione senza sofismi o raffinatezze di sorta. Un solido, puro, semplice e accattivante, intrattenimento televisivo.
E Lost, del linguaggio cinematografico se ne è sempre fregato. Una scrittura basata sull'uso (e l'abuso) dei cliffhanger, un ampio cast di faccioni bellocci ma privi di un reale spessore, una regia che non si è mai schiodata dall'ABC del campo e del controcampo in piano medio, una narrazione senza sofismi o raffinatezze di sorta. Un solido, puro, semplice e accattivante, intrattenimento televisivo.
E
dell'esperienza di Lost,
The Walking Dead
ha
fatto tesoro, mettendo in scena una storia di pionieri alle prese con
un mondo ostile, popolato da selvaggi assassini (sì, gli americani
dalla frontiera non ne sono mai usciti), raccontandola con un
linguaggio quanto più neutro possibile.
E
sulla scia di TWD,
ecco arrivare The
Strain. Che
proprio come TWD
è
tratta da qualcosa (in questo caso da una serie di tre romanzi
scritti proprio dagli artefici della serie, Guillermo Del Toro e
Chuck Hogan), che proprio come TWD
mette in scena un'invasione di mostri (vampiri al posto degli zombi),
che proprio come TWD
vanta un cast di facciotte televisive che difficilmente arriveranno
mai sul grande schermo e che, proprio come
TWD,
ha un registro visivo e narrativo piano, ordinato, poco impegnativo e
di grande fruibilità. La serie è divertente e non ha alcuna pretesa
di essere qualcosa di più di quello che è. Per molti versi ricorda
la piacevole miniserie de L'Ombra
dello Scorpione (ancora
Stephen King, guarda il caso). Non vincerà alcun premio della
critica, state tranquilli, ma è godibile come un buon hamburger. Al
sangue.
E
visto che siamo partiti dai calvinisti e i puritani, come non parlare
di Salem,
serie del 2014 della WGN America, che si ambienta nell'omonima
cittadina negli anni della caccia alle streghe? Anche qui, narrazione
alla vecchia maniera, pura e semplice, che tiene attaccati allo
schermo grazie a un consolidato meccanismo di intrighi, misteri,
inganni. colpi di scena e un pizzico si sesso e perversione, giusto
quel tanto che basta per solleticare (senza svegliare realmente) gli
animi più pruriginosi.
La messa in scena è buona e con begli interni raccontati a luce di
candela. Meno bene gli esterni che risultano un poco posticci.
A
tratti il tutto ricorda più l'adattamento televisivo de I
Pilastri della Terra che
un racconto horror ma non è detto che sia un male perché la
trasposizione del più popolare romanzo di Ken Follett non era per
nulla male. Se The
Strain era
un hamburger, questo è tacchino con purea di patate. Non lo
troverete nel menù del Dorsia, ma vi assicuro che è genuino e
saporito.
E sempre per rimanere nell'ambito dello squisito prodotto televisivo nella tradizione orrorifica USA, buttiamo uno sguardo anche a Penny Dreadful, della Showtime. Cosa succede a mettere insieme Dorian Gray, Mina Harker, Van Helsing, Dracula, il dottor Frankenstein e la sua creatura? No, non un capitolo inedito de La Lega dei Straordinari Gentleman di Alan Moore e nemmeno un nuovo libro della serie Anno Dracula di Kim Newman, ma solamente di una serie che esplora (con una certa convinzione, bisogna riconoscerglielo) la via del potpourri narrativo. Forti suggestioni visive dal Dracula di Francis Ford Coppola ma, se badiamo a come è scritta e raccontata, siamo più dalle parti della Buffy the Vampire Slayer di Joss Wedhon. Purtroppo, rispetto alla creatura prediletta dall'uomo che ha donato gli Avengers anche alla massaia di Voghera, manca quella punta di auto-ironia che avrebbe stemperato i momenti più involontariamente ridicoli della serie. Però c'è Eva Green che da sola vale il tempo speso. Rognone con verdure.
E sempre per rimanere nell'ambito dello squisito prodotto televisivo nella tradizione orrorifica USA, buttiamo uno sguardo anche a Penny Dreadful, della Showtime. Cosa succede a mettere insieme Dorian Gray, Mina Harker, Van Helsing, Dracula, il dottor Frankenstein e la sua creatura? No, non un capitolo inedito de La Lega dei Straordinari Gentleman di Alan Moore e nemmeno un nuovo libro della serie Anno Dracula di Kim Newman, ma solamente di una serie che esplora (con una certa convinzione, bisogna riconoscerglielo) la via del potpourri narrativo. Forti suggestioni visive dal Dracula di Francis Ford Coppola ma, se badiamo a come è scritta e raccontata, siamo più dalle parti della Buffy the Vampire Slayer di Joss Wedhon. Purtroppo, rispetto alla creatura prediletta dall'uomo che ha donato gli Avengers anche alla massaia di Voghera, manca quella punta di auto-ironia che avrebbe stemperato i momenti più involontariamente ridicoli della serie. Però c'è Eva Green che da sola vale il tempo speso. Rognone con verdure.
E
nel calderone delle serie americane a base di spettri, sangue e
frattaglie, non possiamo non citare quell'American
Horror Story giunta
(incredibilmente, se lo chiedete al sottoscritto) alla sua quarta
stagione, questa volta ambientata in in circo di freak.
La
proposta della FX è sempre la stessa: un tunnel degli orrori (ed
errori), incoerente e confuso che gioca più sull'affastellamento
degli elementi che sul reale dipanarsi di una storia. Effetti,
effettacci, colpi bassi e scorrettezze narrative di tutti i generi
compongono un'opera che, per quanto sia andata effettivamente
migliorando stagione dopo stagione, rimane il corrispettivo di un
hot-dog con troppe salse.
Infine, dopo tanto cibo a stelle e strisce, passiamo dall'altra parte dell'oceano e approdiamo in Inghilterra, patria del fish and chips, dei Beatles, dell'understatemen, dei Monty Python, di Jack lo Squartatore, di James Bond, di Sherlock Holmes, di Black Mirror e di Iside N.9, serie prodotta da BBC Two, e figlia del gruppo di autori che va sotto il nome di The League of Gentleman Members, già artefici di quel disturbamte gioiellino di Psychoville. Inside N. 9 è una produzione in sei episodi che si iscrive e porta avanti la tradizione inglese delle serie antologiche. Tutto è ambientato in una stanza, tutto è permeato da un feroce umorismo nerissimo che non risparmia niente e nessuno.
Infine, dopo tanto cibo a stelle e strisce, passiamo dall'altra parte dell'oceano e approdiamo in Inghilterra, patria del fish and chips, dei Beatles, dell'understatemen, dei Monty Python, di Jack lo Squartatore, di James Bond, di Sherlock Holmes, di Black Mirror e di Iside N.9, serie prodotta da BBC Two, e figlia del gruppo di autori che va sotto il nome di The League of Gentleman Members, già artefici di quel disturbamte gioiellino di Psychoville. Inside N. 9 è una produzione in sei episodi che si iscrive e porta avanti la tradizione inglese delle serie antologiche. Tutto è ambientato in una stanza, tutto è permeato da un feroce umorismo nerissimo che non risparmia niente e nessuno.
Narrazione acuminata come la lama di bisturi chirurgico che non cerca
in nessuna maniera di mettere a suo agio lo spettatore ma che, anzi,
prova a colpirlo sempre dove meno se lo aspetta.
Raffinato, intelligente, ben scritto e splendiamente girato. Concede
poco in termini di spettacolarità e pretende molto il termini di
attenzione. Ma ne vale la pena. Un roast-beef all'inglese, cotto alla
perfezione e accompagnato da una crudità di verdure.
Prima
di chiudere, vale la pena sottolineare come i momenti più
genuinamente disturbanti che ci sia capitato di vedere quest'anno
sono ascrivibili a serie non prettamente orrorifiche. Le inquietanti
visioni di Hannibal,
per esempio, o le impietose operazioni chirurgiche di The
Knick, o
i momenti più brutalmente gore di Game
of Thrones. L'orrore
-come ha sempre fatto- continua a trasbordare dall'etichetta di
genere che gli si vuole applicare e inquina, contamina e corrompe la
narrazione tutta. Come dovrebbe sempre fare.Perché l'orrore è parte
di questo mondo. E' alle nostre spalle. E ride di noi.